Le civiltà precolombiane conservano ancora tanti misteri. Nel fitto delle sue giungle, nei suoi sterminati spazi, nel profondo delle sue montagne, tesori e segreti aspettano ancora di essere svelati e spiegati dagli uomini. Quello che andiamo a presentare concerne un tipo di oggettistica archeologica davvero molto particolare. In parole povere, questi tesori archeologici non sarebbero che la chiave o, meglio, le porte d'accesso verso un mondo che non conosciamo, ma è probabile che sia esistito tanti tanti secoli or sono. Come disse un archeologo in un suo libro, "i reperti parlano e a volte ci possono comunicare quello che accadde".
Anche questi misteriosi reperti ci parlano di mondi scomparsi, di strane realtà, di poteri innimaginabili e di misteriosi individui. La storia inizia nel 2000, quando un certo Klaus Dona, durante la preparazione della mostra Unsolved Mysteries, ricevette la telefonata da parte di Wiener Staasoper, ex ballerino divenuto abile regista. Questi gli chiese di realizzare un documentario sul suo fratellasto: un famoso medico specializzato in neurologia e psichiatria, da tempo emigrato in Ecuador. In quella lontana terra sudamericana, l'abile dottore era diventato un esperto di sciamanesimo locale e ne esercitava, con un certo successo, l'attivita in quello stesso luogo.
Dovendo trarre fonti per realizzare documentari, l'ex ballerino gli mostrò delle foto del suo fratellastro in Ecuador e, in una di esse, vi erano misteriosi oggetti antichi che furono recuperati da un fidato amico del medico in una località molto isolata della giungla ecuadoriana, pare mentre fosse a caccia di oro. Klaus Dona, vista la particolare situazione e visto che questi oggetti sarebbero calzati a pennello nella sua mostra, decise di volare verso il SudAmerica assieme all'ex ballerino.
Giunti in quel posto, i due furono ricevuti dal noto dottore che li portò verso una località fuori città. In questa zona di periferia, furono accolti a loro volta da un imprenditore agricolo, un certo Villamar, nonché coordinatore di seminari, che gli mostrò i numerosi oggetti recuperati. Nel vedere gli oggetti, Klaus e gli altri accompagnatori rimasero stupefatti: oggetti archeologici bizzarri, dalle forme strane e decisamente sconosciute. Gli oggetti in questione vennero ritrovati in una localita molto isolata, consciuta come La Mana. A seguito dello sfruttamento aurifero del luogo da parte di ditte locali, un certo Sotomayor scoprì a 10 metri di profondità una caverna con contenitori di ceramica che racchiudevano i misteriosi oggetti. Nessuno ha mai capito come possano essere andati a finire in quella zona, ma, allacciandoci alla scoperta di oro in una fonte della stessa zona e alla traduzione di tavolette sumere che narranodi un tempo in cui gli dei cercavano l'oro nell'acqua, possiamo pensare che il luogo in questione possa essere stato visitato da esseri di altri mondi millenni or sono.
Dall'analisi di questi oggetti capiamo diverse cose utili. In particolare, apprendiamo da una mappa di pietra che il nostro passato potrebbe essere stato condizionato da esseri di altri mondi che avrebbero creato un'elaborata civiltà qui sulla Terra. I reperti ci narrano di contatti transoceanici tra una popolazione e un'altra situati a diversi chilometri l'una dall altra.
Il primo oggetto che ebbero modo di visionare fu una sorprendete piramide con un occhio incastrato su un lato, al vertice. Senza dire altro è facile riconoscere in questo oggetto la chiara rappresentazione della piramide con il terzo occhio rappresentato nella comunissima banconata degli Stati Uniti. Sappiamo che il simbolo dell'occhio è citato nella Bibbia: rappresenta una società conosciuta come "la società del serpente", diffusa in oriente in tempi antichi. Con il passare del tempo, è venuta a rappresentare anche le società massoniche, illuministiche ed alchemiche. Che voglia rappresentare società di extraterrestri rettiliani stabilitisi sulla Terra, tanto potenti da creare un sapere segreto custodito nelle società occulte? Per il momento non possiamo rispondere a questa domanda.
Ma non è tutto. Villamar raccontò di aver trasportato la piramide in una stanza oscura e di aver assistito a uno strano e inspiegabile fenomeno. L'occhio sul vertice iniziò ad emanare una luce potentissima e i gradini della piramide sembrarono essere illuminati. Individuò allore, ai piedi della piramide, dei segni che rappresentavano la costellazione di Orione. Al di sopra di questi ultimi vi erano dei geroglifici, la cui traduzione era: "Il figlio del creatore è in viaggio".
Sbalorditivo quanto enigmatico. Klaus Dona fino ad oggi non ha ancora compreso cosa volesse dire quella scritta, perché era rappresentata la costellazzione di Orione ma, soprattutto, come si spiega la presenza di un oggetto tipico dell'area mediorientale nella giungla sudamericana? Ritorniamo così a proporre la teoria che vuole un possibile sbarco di Egizi nelle coste del SudAmerica. Solo così questa piramide in questo luogo del mondo potrebbe aver senso.
Il secondo oggetto era una mappa disegnata su una pietra. Trattasi di una lastra alta 60 cm, larga 40 cm e profonda 30 cm. Curiosità di questa mappa è che ritrae due misteriose isole, una nell'Atlantico e una nel Pacifico. Stranamente vi è una linea che congiunge l'Ecuador con l'antica Mesopotamia; inoltre, nei due punti da dove partono le linee sono stati fatti degli intarsi a forma di occhio. Volendoci soffermare un attimo ad analizzare la situazione, viene da chiederci l'origine di questa mappa di pietra. Potrebbe essere un falso, oppure è la diretta testimonianza della presenza di due mondi scomparsi che favorirono contatti transoceanici. Forse le tavolette di pietre sumere che narrano di Dei intenti a cercare l'oro nell'acqua potrebbero svelare l'enigma. Potrebbero essere state scritte dopo un possibile sbarco di sumeri in Ecuador?
Volendo formulare un'ipotesi, potremmo immaginare che gli antichi Sumeri, giunti in Ecuador per vie misteriose, abbiano avuto contatti con esseri extraterrestri (visti come dei) intenti a cercare l'oro. Fu forse questo l'evento immortalato sulle tavolette?
Inoltre, avrebbero compilato una mappa gegrafica del luogo raggiunto, segnandone la rotta. Forse questi dei fornirono loro alcune mappe della Terra vista dall'alto, il che facilitò la comprensione del luogo dove erano giunti.
Curioso il fatto che un geologo giapponese, un certo Kimura, abbia ritorvato nel nord del Giappone, sulle isole Ryukyu, tavolette che riportano segni e simboli che hanno affinità con i caratteri e i simboli ritrovati a La Mana. Più sorprendente ancora è il fatto che questi caratteri delle isole del Giappone sono molto simili a quelli trascritti da Churchward nel suo libro su MU. Diverse epigrafi di queste isole giapponesi ci parlano di antiche terre sommerse: viene da pensare che queste possano riferirsi realmente al continente sommerso di Mu. Ricordiamo inoltre il ritrovamento di strutture sommerse al largo di Yonaguni. Il quadro sembra essere chiaro. Il problema di fondo è stabilre l'autenticità di certe tavolette e di certe costruzioni: se mai si rivelassero vere, rivelerebbero parecchio sul nostro passato.
Proseguendo, Dona ci racconta di altri oggetti ancora più misteriosi e dal sapore decisamente ancora più inquietante, ma in qualche modo connessi con la piramide ritrovata. Infatti, tra questi vi era una pietra nera che mostrava come reggere la stessa piramide. Una seconda pietra rappresentava un individuo seduto con la piramide nelle mani. Ancora più curioso è il fatto che sopra la testa di questo individuo vi era una sorta di elmo con un antenna che si collegava a un oggetto volante luminoso, rappresentato come un occhio che vola sopra la sua testa; contemporaneamente, dai suoi occhi partono dei raggi di luce che vanno a colpire due individui inginocchiati di fronte a lui. Enigmatico il suo significato. Venne scoperto, a tal proposito, un elmo con la stessa fessura rappresentata sulla pietra! A questo punto, difficile affermare la falsità della pietra: l'elmo in questione è una prova fattibile della realtà storica degli eventi narrati su queste pietre. Qual era lo scopo di questo elmo? Forse era indossato da sacerdoti iniziati con lo scopo di ricevere poteri paranormali da parte di esseri di altri mondi?
In seguito, Dona venne attratto da una coppa che, illuminata con gli infrarossi, rivelava costellazzioni intarsiate nel fondo del bicchiere: poté riconoscere Orione, le Pleiadi e altri noti gruppi di stelle. Questa coppa era accompagnata da numerose altre simili alla prima, ma in miniatura, dodici in tutto, recanti dei simboli che, analizzati, corrisponderebbero a dei numeri Maya. Si è calcolato che unendo tutte queste dodici coppe si otterebbe il disegno delle costellazioni presente sul primo calice, quello più grande. Alcuni in queste tredici coppe vogliono vederci un'allusione a Gesù e ai dodici apostoli: che questa coppa sia una riproduzione del sacro Graal nascosto chissà dove? E se Dona si fosse trovato tra le mani il vero Graal? Nessuno lo potrà mai dire anche perchè l'iconografia del Graal è talmente confusa che non si sa più se quello che vide in Ecuador fu realmente il sacro calice.
Continuando, l'autore ci riferisce della rappresentazione di due uomini circondati da costellazzioni incisi su una base di giadeite, e della testa di un cobra caratterizzata nella parte inferiore da una decorazione fosforescente a sette punti per lato e da trentatré strisce. Sappiamo che il cobra è spesso rappresentato nelle mitologie induiste ed egizie, associato spesso all'energia Kundalini e al sistema dei 7 chakralungo e delle 33 vertebre. Ci si chiede, come mai l'iconografia del serpente sia così spesso presente presso numerose culture globali. Da Oriente ad Occidente si parla di divinità che hanno a che fare con i rettili: anche il nostro famoso occhio incastonato nella piramide si dice sia una rappresentazione primitiva di un occhio rettiliano, così come quello presente sul dollaro statunitense.
Ciò ci riporta a pensare a una possibile dominazione di una razza extraterrestre di tipo rettiliano nel passato della Terra. Essa potrebbe aver donato all'uomo di allora sbalorditive conoscenze di tipo esoterico, che poi finirono per diventare patrimonio esclusivo di alcune società segrete. Teoria rafforzata ancora di più dal racconto di Lacerta, che ci parla di come il mondo fosse dominato da un'antica razza di rettiliani, di cui lei sarebbe stata una delle ultime rappresentanti. Lacerta ci parla anche della presenza di un'altra razza di umanoidi, nordici, dall'aspetto scandinavo e barbuto! Infatti, a tal fine è stata ritrovata una roccia con un'incisione rappresentante appunto un uomo dai lunghi capelli, barbuto. Sicuramente gli Indios sudamericani non erano barbuti e quindi chi poteva rappresentare questa incisione se non esseri umanoidi di altri mondi dall'aspetto scandinavo? Tanto più che, incisa sulla stessa roccia, ma sul retro, vi era una spirale con all'interno una piramide e con un occhio verde rappresentato nella sua parte alta! Tuttavia non è ancora stata provata la veridicità del racconto di Lacerta.
I numerosi simboli di La Mana ci porterebbero a pensare alla veridicità di certi avvenimenti narrati da Lacerta, così come la presenza nel nostro passato di antichi continenti, ora scomparsi. Dona purtroppo non sa se effettivamente questi oggetti da lui ritrovati siano autentici: non ci vorrebbe molto per falsificare simili reperti.
La vicenda, ci racconta Dona, si concluse con la richiesta al legittimo proprietario degli oggetti in questione, ma dall'iniziale rifiuto, poiché dalla gente locale erano ritenuti sacri e quindi non potevano essere portati via da quel luogo, si giunse a un evento fortuito che permise allo scienziato di entrare in possesso degli stessi. Fu visionato un oggetto di forma ottogonale di colore nero recante al centro cerchi (contenuti l'uno nell'altro ) di colore diverso: vi era anche un amuleto che aveva la capacità di girare attorno a questi cerchi nel momento in cui fosse stato preso in mano da una persona. Tutti i collaboratori, ad eccezione di Dona, riuscirono nel tentativo di muovere l'oggetto. Villard parlò del fallimento del suo amico al padrone degli oggetti e questi gli comunicò con tutta tranquillità che Dona li poteva prendere per la sua mostra. Potremmo interpretare l'avvenimento come un segno del fatto che gli oggetti potessero abbandonare il luogo. Tuttavia non sappiamo se questa nostra interpretazione corrisponda a quello che effettivamente l'oggetto "voleva comunicare" con la sua forza, e neanche Dona probabilmente riuscì nell'intento di capire. I tesori della giungla dell'Ecuador sono solo un altro tassello di un mosaico antico, caratterizzato da esseri magnifici; un mondo che esistette diversi secoli or sono, cancellato dalla furia del tempo e dagli eventi. Sarà mai possibile un giorno descrivere la storia di questo mondo perduto? Molti si augurano di sì, e sono fiduciosi sullo sviluppo delle ricerche che potranno svelarci un giorno come veramente si svolsero i fatti. Solo allora, tanti eventi enigmatici potrannno essere risolti.
PASQUALE ARCIUOLO
fonti:http://www.croponline.org/